Registrazione audio integrale della Relazione di Raffaella Di Marzio
"Organizzazioni settarie e antisettarie: strutture e dinamiche similari in contesti antagonisti"
12° Congresso Internazione promosso dalla Società Italiana di Psicologia della Religione (SIPR):
"L'IO, L'ALTRO, DIO: Religiosità e Narcisismo" Verona, 20 e 21 Novembre 2010.
http://raffaelladimarzio.blogspot.com/2010/11/narcisismo-settarismo-e-antisettarismo.html
http://pietrobono.blogspot.com/2010/12/organizzazioni-settarie-e-antisettarie.html

giovedì 23 dicembre 2010

“GRAZIE CARO PAPA’” – Lettera del figlio di Paolo Borsellino




Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori, preparavo l’esame di diritto commerciale, ero esattamente allo “zenit” del mio percorso universitario. Mio padre era andato, da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare i ragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella via Zandonai, dove nel bel mezzo del “taglio” fu raggiunto dalla telefonata di un collega che gli comunicava dell’attentato a Giovanni Falcone lungo l’autostrada Palermo-Punta Raisi.

Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiuma da barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussò alla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisione che in diretta trasmetteva le prime notizie sull’accaduto. Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggio di chiedergli nulla né lui proferì parola.

Si cambiò e raccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò, non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando lui stesso la macchina di servizio, nell’ospedale dove prima Giovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebbero spirati tra le braccia. Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò un momento di non ritorno. Era l’inizio della fine di nostro padre che poco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio, salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell’uomo dissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutti conoscevamo.

Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.
Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell’economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni.

La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d’altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore “Pippo” Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell’Università di Palermo e storico esponente dell’Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.

Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.
Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell’85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati “deportati” all’Asinara, o quella dell’anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese. Ma quella era un’estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all’apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.

Così quell’estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo “esposta” per la sua adiacenza all’autostrada per rendere possibile un’adeguata protezione di chi vi dimorava. Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.
Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti. Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel “tenere comizio” come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione.

Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.
Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell’attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio.

Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”, perché quando giunsi in via D’Amelio fui riconosciuto dall’allora presidente della Corte d’Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna. Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.

La mia vita, come d’altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza “se” e senza “ma” a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in “familiari superstiti di una vittima della mafia”, che noi vivessimo come figli o moglie di ….., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva “Paolino” sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.

Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.

Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere.
D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe “cavalcato” l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di …. o perché di cognome fa Borsellino. A tal proposito ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.

Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.

Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.


Manfredi Borsellino


(La testimonianza del figlio del giudice – pubblicata per gentile concessione dell’editore – chiude il libro “Era d’estate”, curato dai giornalisti Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi- Pietro Vittorietti editore).

domenica 19 dicembre 2010

«L'invito» di Oriah Mountain Dreamer


Oggi ho trovato questo testo sulla pagina di facebook di un amico.
In questo clima di intolleranza e, diciamolo, di follia contagiosa che circonda la vicenda arkeon soprattutto in questi giorni,
un po' di saggezza può servire.
Se ho ben compreso, questa poesia è dedicata da questa signora con radici nativo-americane, alle donne.
Io vorrei dedicarla a tutte le donne di arkeon che in questi anni di persecuzione hanno custodito con estrema pazienza e amore la fede dei propri compagni e delle proprie famiglie.

Grazie di cuore.

Pietro



«L'invito»
di Oriah Mountain Dreamer

Non mi interessa che cosa fai per vivere; voglio
sapere che cosa ti fa spasimare e se osi sognare
di andare incontro all'anelito del tuo cuore.

Non mi interessa quanti anni hai; voglio sapere
se rischieresti di passare per stupida per amore,
per un sogno, per l'avventura di essere viva.

Non mi interessa quali pianeti siano in
quadratura con la tua luna. Voglio sapere se hai
toccato il centro del tuo dispiacere, se i
tradimenti di una vita ti hanno aperta oppure ti
hanno raggrinzita e chiusa per paura di altro dolore.

Voglio sapere se riesci a sederti con la
sofferenza, la mia o la tua, senza muoverti per
nasconderla, né per sedarla, né per mandarla via.

Voglio sapere se riesci a stare con la gioia, la
mia o la tua, se riesci a ballare selvaggiamente
lasciando che l'estasi ti riempia fino alle
estremità delle dita delle mani e dei piedi senza
ricordarci di stare attenti, o di essere
realistici, né per rammentarci i limiti
dell'essere umano.

Non mi interessa se la storia che mi stai
raccontando è vera. Voglio sapere se riesci a
deludere un altro pur di essere sincera con te
stessa. Se riesci a sopportare l'accusa di
tradimento senza tradire la tua anima. Se riesci
a essere senza fede e perciò degna di fede.

Voglio sapere se riesci a vedere ogni giorno la
bellezza anche quando non è pittorica; e se
riesci a far scaturire la tua vita dalla sua
presenza.

Voglio sapere se riesci a vivere col fallimento,
il tuo e il mio, e tuttavia, sul bordo del
lago, a gridare al plenilunio d'argento il tuo
«Sì!».

Non mi interessa sapere dove vivi o quanti soldi
hai. Voglio sapere se riesci ad alzarti dopo una
notte di dolore e di disperazione stanca e con le
ossa a pezzi e a fare ciò che va fatto per dar da
mangiare ai bambini.

Non mi interessa ciò che sai né come sei giunta
qui. Voglio sapere se starai nel centro del fuoco
con me senza tirarti indietro.

Non mi interessa dove o che cosa o con chi hai
studiato. Voglio sapere che cosa ti sostiene da
dentro quando tutto il resto crolla.

Voglio sapere se riesci a stare sola con te
stessa e se ti piace davvero la compagnia che ti
fai nei momenti vuoti.

Oriah Mountain Dreamer



mercoledì 28 luglio 2010

lunedì 26 luglio 2010

Blog-sequestri: Cina aspettaci!

Blog-sequestri: Cina aspettaci!
di Guido Scorza - 24 luglio 2010
http://www.guidoscorza.it/?p=1967

lunedì 19 luglio 2010

domenica 18 luglio 2010

Il clamoroso FALSO ABUSO sui minori della storia italiana - Scuola materna Sorelli di Brescia


Interamente tratto dal sito: CENTRO DI DOCUMENTAZIONE FALSI ABUSI E SOTTRAZIONI DI MINORI
http://www.falsiabusi.it/casi/casi_%20falsi_%20abusi/Sorelli_Casazione.htm


Il 6 maggio 2010 la Giustizia (Corte Suprema di Cassazione) ha definitivamente assolto gli imputati della scuola materna Sorelli di Brescia e riaccesa la speranza di una presa d’atto dei Falsi abusi sui minori, respingendo tutti i ricorsi della Procura e delle parti civili, rendendo definitive le sentenze di assoluzione già espresse con formula piena in primo e secondo grado.
I giudici hanno altresì condannato le parti civili (genitori) al pagamento delle spese processuali.
Si chiude così la vicenda processuale del più clamoroso caso di falsi abusi sui minori della storia dello Stato italiano.
Malgrado tutto, alcune sedicenti associazioni e blog antipedofilia che tanto si sono spese in negatività contro degli innocenti, continuano imperterrite nella loro ostinazione nel far credere che i bambini siano stati vittime di attenzioni, avendo il coraggio di scrivere fra i loro commenti:

“Ci state intasando di messaggi.
Dico solo che questo verdetto era "ovvio" dopo due assoluzioni, e che bisogna accettarle, che piacciano o meno.
Oggi l'infanzia ha perso. Quanto ai genitori dico: voi sapete come stanno i vostri figli e quando saranno grandi potrete raccontare loro cosa avete fatto per difenderli. Quanto avete sofferto ma anche quanto avete lottato, a prescindere dal risultato finale” .
“Ci sono bambini che sono stati traditi dai loro stessi cari, ma voi no. Voi siete stati sostenuti, curati, aiutati a superare un trauma enorme, e questo è già un fatto di grande valore umano e civile.
I vostri genitori, per voi hanno affrontato una battaglia che altri hanno preferito non combattere, dunque sono speciali, come voi siete speciali. "Speciale" è chi, pur non avendo ottenuto giustizia sulla carta, ha la serenità di chi è sempre stato dalla parte giusta, perché vera, reale e autentica vittima”.


Non si può nascondere il fatto che questi poveri bambini non siano stati vittime di una strumentalizzazione, in cui molti sono saliti sul carro del probabile vincitore, pur di avere visibilità o un tornaconto economico.
Non v’è dubbio che dinanzi a queste tragedie in cui una intera città, come Brescia, è stata avvolta da dubbi, pregiudizi e quant’altro, a pagare il prezzo maggiore, in termini di sofferenza, sono stati i bambini.
Gli adulti dovrebbero, invece, meditare se i loro comportamenti, agiti ed esternazioni, nel far credere che i bambini fossero violati, non ha contribuito a creare ulteriori patimenti.
Inoltre, stante le notizie della carta stampata, si evince che il presidente dell’associazione Prometeo -Massimiliano Frassi- ha contribuito non poco, nel caso di Brescia, a far credere ai genitori che i loro bambini, che presentavano disagi, fossero stati degni di attenzioni. Un modo di agire che sfrutta le speranze e le paure dell’essere umano.

Alcuni giornali scrivono:

Avvenire: “(l’associazione Prometeo non aveva atteso il lavoro dei giudici e aveva subito concluso che "il tutto va inquadrato tra gli abusi ritualistici di stampo satanico, gli elementi ci sono tutti: escrementi, torture, croci, religiosi deviati"...)”

QuiBrescaia.it: “l’ex presidente della Provincia Roberto Cavalli, di aver dato spazio all’associazione Prometeo, che già a Bergamo, in un analogo caso di presunti abusi su minori da parte di suore Orsoline, si era resa protagonista di una nebulosa caccia alle streghe”.


Questo modo di porsi, utilizzando i mezzi di informazione, si chiama contagio dichiarativo. È un fenomeno che assume un’importanza estrema in molti settori, ed è dovuto al diffondersi di false credenze più o meno fondate, a tal punto da divenire un fenomeno di proselitismo suggestivo
[Vita eterna per le bugie] http://www.falsiabusi.it/area_scient/studi/bugie_vita-eterna.htm

In un’epoca dove il negazionismo ha una diffusione capillare nel costruire verità alternative che giungono a negare la scientificità, crea un sofisticato meccanismo psicologico tale per cui lo scambio di informazioni tra individui porta a modificare radicalmente quanto accaduto e determina il formarsi di convincimenti che non corrispondono alla realtà dei fatti.
Ciò crea una polarizzazione di più gruppi verso notizie che se conformi a quelle che loro già credono o presumono siano accadute, questi sposano la notizia creando una situazione radicale. È evidente che ogni nuovo elemento che si presenta dinanzi a questi gruppi verrà letto secondo le proprie convinzioni, determinando un’interattività che agisce come una cassa armonica, che progressivamente polarizza le loro azioni.

In altre parole significa la creazione di bolle psicologiche nel far credere che le belle storie e le illusioni siano di facile raggiungimento, mentre nella realtà altro non sono che dei virus che si spargono nella mente delle persone con lo stesso meccanismo delle malattie virali.
Quindi, diffidare di quanti vengono chiamati presso reti televisive spacciandosi per difensori dei bambini, diffamando gli assenti e non consentendo il contraddittorio, non solo diventa imperativo allontanarsi, ma è anche doveroso dissociarsi da quanti mettono in onda trasmissioni che divulgano false speranze e inutili paure.
Per una maggiore e sintetica incisività dei fatti pubblichiamo gli articoli di giornale, con l’impegno di divulgare la sentenza definitiva, non appena sarà disponibile.

Gli articoli di giornale
http://www.falsiabusi.it/documenti/Sorelli_Art_giornale.pdf

Intervista a una maestra
http://www.youtube.com/watch?v=C37soJl_Z7o

sabato 8 maggio 2010

Don Giorgio Govoni: quando la calunnia uccide


di Massimo Introvigne
Tratto da Cesnur 2-4-2010
http://www.cesnur.org/2010/mi_govoni.html

I preti pedofili esistono. Come ha ricordato il Papa, sono “una vergogna” per la Chiesa e nei loro confronti non è giustificata nessuna tolleranza. Ma vi è anche un’altra categoria che non dev’essere dimenticata in questo lungo venerdì santo della Chiesa: quella dei preti accusati ingiustamente. Dal tentativo nazista di screditare la resistenza della Chiesa tedesca al regime moltiplicando le accuse di pedofilia – quasi tutte false – agli studi legali miliardari americani che sparano accuse talora davvero insensate al solo scopo di spillare quattrini alla Chiesa, c’è una storia parallela di calunnie che, per i sacerdoti che le subiscono, costituiscono un vero martirio.

Ricorre quest’anno il decimo anniversario di una vicenda dolorosissima che ha coinvolto un sacerdote italiano, don Giorgio Govoni (1941-2000). Questo parroco della Bassa Modenese – un parroco esemplare, amatissimo dai suoi parrocchiani – è accusato nel 1997 da un’assistente sociale, che afferma di avere intervistato tredici bambini, di guidare un gruppo di «satanisti pedofili» che praticherebbero riti satanici in diversi cimiteri tra Mirandola e Finale Emilia, violentando e talora uccidendo bambini (di cui peraltro non si sono mai trovati i corpi). Rinviato a giudizio, è ritenuto colpevole dal pubblico ministero che chiede per lui quattordici anni di carcere. La Curia di Modena si schiera fin dall’inizio con lui e ne sostiene la difesa, facendo appello anche a chi scrive, il quale crede di avere dimostrato in una perizia di parte il carattere assolutamente inverosimile delle accuse. Ma, dopo l’arringa del pubblico ministero, don Giorgio muore stroncato da un infarto nell’ufficio del suo avvocato il 19 maggio 2000.

La morte del sacerdote estingue le accuse contro don Giorgio, ma la sentenza nei confronti dei coimputati mostra che i giudici del Tribunale di Modena credono nonostante tutto agli accusatori. La situazione però si rovescia in sede di appello, interposto anche dai difensori del sacerdote defunto per riabilitarlo almeno post mortem. L’11 luglio 2001 la Corte d’Appello di Bologna dichiara che nella Bassa Modenese non è mai esistito un gruppo di «satanisti pedofili» e che don Giorgio è stato ingiustamente calunniato sulla base di fantasie indotte in bambini molto piccoli da un’assistente sociale che ha letto una certa letteratura su casi americani. Nel 2002 la sentenza di appello è confermata dalla Corte di Cassazione, con soddisfazione delle autorità ecclesiastiche e dei parrocchiani che hanno sempre visto in don Giorgio un eccellente sacerdote travolto da accuse inventate.

Ogni anno i suoi parrocchiani, spesso con la presenza del vescovo di Modena, si riuniscono sulla tomba di don Giorgio. Io, che l’ho conosciuto personalmente, sono rimasto sia edificato dalla sua testimonianza di sacerdote e di uomo d’intensa preghiera, sia spaventato dalla facilità con cui chiunque – magari per essersi scontrato con un’assistente sociale sulla gestione di alcune famiglie in difficoltà – può essere umanamente e moralmente distrutto da accuse infamanti immediatamente riprese dai media prima di ogni verifica. Ricordare a dieci anni dalla morte don Giorgio Govoni non assolve certamente nessun sacerdote davvero colpevole di abusi. Ma ci ricorda che esistono pure i fabbricanti di calunnie. Anche nei loro confronti è giusta la tolleranza zero.
Massimo Introvigne

venerdì 7 maggio 2010

Qualche volta la verità emerge: caso "asilo Sorelli" di Brescia

E’ di questi ultimi giorni la sentenza con cui la Corte di Cassazione mette la parola fine dopo sette anni di procedimenti sulla vicenda dell’asilo Sorelli di Brescia.

Questa sentenza, a parte il giornale “Avvenire”, ha avuto scarso rilievo nazionale.

Eppure negli anni aveva sollevato molto clamore.

“La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi del procuratore generale e delle parti civili contro le assoluzioni di otto imputati che erano stati indagati per presunti abusi sessuali nei confronti di bambini della scuola materna comunale di Brescia Sorelli. La vicenda aveva destato notevole clamore: due maestre avevano subito un anno di carcerazione. Sono quindi stati assolti definitivamente un sacerdote, sei maestre e un bidello.
La vicenda della scuola materna Sorelli, che si trova nel centro storico di Brescia, ha scosso la città a partire dal maggio del 2003. Nelle indagini, oltre agli otto indagati assolti in via definitiva dalla Cassazione, erano rimasti coinvolti anche altri due sacerdoti e una bidella. Le loro posizioni furono però archiviate. In primo grado, al sacerdote, al bidello e alle sei maestre, vennero contestati, complessivamente, abusi su 23 bambini e il pm Roberta Licci aveva chiesto che tutti venissero condannati a una pena complessiva, di 125 anni di carcere. La sentenza d'assoluzione, per tutti, giunse il 6 aprile del 2006, dopo undici giorni di camera di consiglio…”.
L'asilo di Brescia: assoluzione definitiva per le maestre e il sacerdote 6-5-2010
http://www.avvenire.it/Cronaca/asilo+brescia+assoluzione_201005061106526830000.htm

Pare di capire che si sia trattato di un paradossale episodio di “psicosi collettiva”.

“…Nelle 538 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado i giudici scrissero, tra l'altro, di "colonizzazione mentale", di genitori che "si erano di fatto sostituiti agli organi inquirenti…".

“…In primo grado i giudici avevano sostenuto come l' intera inchiesta fosse frutto di un «contagio psicologico»: una sorta di sindrome che si sarebbe trasferita da un asilo (l' Abba), finito sotto inchiesta per presunti abusi (per i quali un solo imputato è ancora a processo dopo l' assoluzione con rinvio in Cassazione), alla scuola materna Sorelli con il trasferimento in questa struttura di due insegnanti arrivati proprio dall' Abba…”.
Le accuse di orrori all' asilo Ultimo atto, le intercettazioni 18-3-2009
http://archiviostorico.corriere.it/2009/marzo/18/accuse_orrori_all_asilo_Ultimo_co_7_090318048.shtml

Trovo estremamente importanti, a mio giudizio, le domande che anche oggi si pone Lucia Bellaspiga:

“…Le violenze, le "feste in maschera", le orge di gruppo cui le maestre avrebbero accompagnato i bambini per abusarne e videoriprenderli con la complicità di sacerdoti (all’inizio ben tre erano gli indagati) non sono mai avvenuti.
Tutto bene, quindi? Lieto fine e sospiro di sollievo? Sì, per i 23 bambini, la cui sorte stava a cuore all’intera cittadinanza e alla Chiesa bresciana, da sempre preoccupata per la salute dei piccoli oltre che per la giustizia nei confronti dei tanti accusati. Ma che dire delle due maestre (trent’anni di carriera appassionata) rimaste in carcere un anno in isolamento, poi agli arresti domiciliari? O del peso portato con serena dignità da don Stefano Bertoni, l’unico dei tre sacerdoti rimasto fino a ieri in attesa di giustizia dopo che la posizione degli altri due era stata quasi subito archiviata per manifesta innocenza? Come ci si può sentire quando una città si spacca tra innocentisti e colpevolisti, lacerata tra la paura del mostro e la difesa di sei maestre e un sacerdote attorno ai quali la gente si è stretta, mentre i giornali parlavano di "asilo degli orrori" e "preti alla gogna nella cattolica Brescia"? (l’associazione “Prometeo” non aveva atteso il lavoro dei giudici e aveva subito concluso che "il tutto va inquadrato tra gli abusi ritualistici di stampo satanico, gli elementi ci sono tutti: escrementi, torture, croci, religiosi deviati"...).
Ma soprattutto come si arriva a una valanga del genere, basata sul nulla eppure in grado di crescere e stritolare le vite di otto persone ingiustamente accusate e 23 famiglie - quelle dei bambini - gettate nell’angoscia?...”.
Brescia, pedofilia all'asilo: tutti assolti dopo sette anni 7-5-2010
http://www.avvenire.it/Cronaca/pedofilia+brescia+assolti_201005070724090070000.htm

Già, è proprio il caso di farsela questa domanda: come si arriva a una valanga del genere?

“… Era insomma in atto un «condizionamento a catena». Padri e madri non avevano dubbi sulla colpevolezza degli indagati. Se qualcuno provava a metterla in dubbio, si legge negli atti del processo, veniva accusato dagli altri genitori di essere una spia…”.
Psicosi pedofili all'asilo Sorelli 6-5-2010
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=100623&sez=HOME_INITALIA

Ecco in proposito le parole del Vescovo di Brescia Mons. Luciano Monari:

“… «Il sospetto che si fosse consumato questo crimine si è fatto strada nelle relazioni umane e in quelle istituzionali; e tutti sappiamo che quando il dubbio s’insinua il bene compiuto, seppur grande, cade nell’oblio e la fiducia si sgretola». Il vescovo di Brescia (e vicepresidente della Cei) mons. Luciano Monari commenta così in una nota la terza e definitiva assoluzione con la quale ieri la cassazione ha definitivamente scagionato don Stefano Bertoni (attualmente missionario in Brasile), un bidello e le maestre della scuola materna comunale «Sorelli»…”.

“…«La sofferenza delle persone coinvolte in questa vicenda», giudicata dai giudici di «contagio emotivo e sociale», è stata, rileva il presule, «enorme e nessuno, forse, potrà restituire loro piena serenità per ciò che hanno vissuto.Trovare pace richiederà tempo. Servirà un processo di riconciliazione di cui qualcuno dovrà farsi carico e la verità emersa esigerà, forse, anche il tempo del perdono e i modi della giusta riparazione» «Il caso Sorelli ha certamente fatto scoprire a Brescia di essere vulnerabile - conclude il vescovo -…”.
Caso Sorelli, Monari: "Sette anni di sospetti ma nessuna prova" 7-5-2010
http://ilgiorno.ilsole24ore.com/brescia/cronaca/2010/05/07/328613-caso_sorelli.shtml

Risparmio i lettori dallo stillicidio di chi negli anni ha “fomentato” e montato il caso.
Se qualcuno vuol proprio farsi del male, in rete può trovare tanto materiale.
A me preme solo osservare che, come ciò che riguarda il processo arkeon, anche qui sembrava di essere tornati nel far-west.

La domanda che mi resta è: cosa sarebbe successo nel caso “asilo Sorelli”, se non si fosse mobilitata grossa parte della società civile, politica e culturale in difesa di questi innocenti?

La risposta me la tengo per me. Ma è molto amara…

Pietro Bono

sabato 20 marzo 2010

Arkeon e il circo mediatico-giudiziario 20-3-2010


Il circo mediatico-giudiziario
di

Daniel Soulez Larivière, avvocato del foro di Parigi “…è stato il primo ad «inventare» un concetto e un dibattito che in Italia ha decisamente attecchito, molto più che nella patria di origine. Era il 1993, anno di terremoti giudiziari anche in Francia, e l' avvocato-giurista Soulez Larivière, protagonista di celebri processi, autore di una decina di libri sui problemi della giustizia, si vide rifiutare da due quotidiani una lettera nella quale spiegava come gli fosse materialmente impossibile difendere i suoi assistiti dagli effetti del connubio Giustizia-Mass media. «Gli atti giudiziari - ricorda - erano pieni di dettagli ininfluenti, ma appetitosi per il pubblico. Sembrava che il problema fosse quello di divertire la gente con scandali assortiti che giravano intorno all' indagine, ma non la riguardavano direttamente. Per chi si trova coinvolto, è come andare contro un muro di cemento armato. L' innocenza magari viene anche dimostrata, ma ormai il danno è fatto». La reazione a quel rifiuto fu un libro, Il circo mediatico-giudiziario, che venne pubblicato anche in Italia (Liberilibri editore, 1994), con poca eco…”.

Tratto dal Corriere:
http://archiviostorico.corriere.it/2007/marzo/19/Parlai_per_primo_gogna_mediatica_co_9_070319121.shtml

Processo arkeon: la costruzione sociale delle vittime 20-3-2010

Nella società democratica, alla figura della vittima spetta ormai il ruolo che un tempo era proprio dell'eroe. E questa la constatazione da cui prende le mosse l'analisi della psicanalista Caroline Eliacheff e dell'avvocato Daniel Soulez Larivière.
I due autori hanno condiviso le loro competenze e le loro esperienze per indagare l'attuale fenomeno dell'onnipresenza delle vittime nella società contemporanea. La tesi è semplice ma, prima d'ora, nessuno era mai riuscito a illustrarla così chiaramente.
Dagli anni ottanta si è fatto strada, perlomeno nelle democrazie occidentali, l'atteggiamento vittimistico per cui una persona - o un gruppo - quando subisce un danno o un torto non solo chiede un risarcimento concreto ma diventa un simbolo carico di emotività, capace di sottomettere alla sua volontà tutti gli ingranaggi istituzionali e politici di una nazione.
E se questa è la diagnosi dello stato di salute della nostra società, la prognosi è gravissima: di questo passo si può arrivare a distruggere la democrazia, e le stesse vittime, almeno quelle vere, non ne ricavano un reale vantaggio.
Stiamo consegnando la nostra civiltà all'irrazionalità di un approccio emotivo e allo strapotere dei media, che sulle emozioni costruiscono audience. E per questo che i due autori di questo libro si sono assunti il rischio di parlare delle vittime con un tono diverso da quello della compassione.

martedì 16 marzo 2010

Interessante scheda su R.E. MAYA 16-3-2010

Segnalo un'interessante e dettagliata scheda sulla Associazione R.E. MAYA:
"ASSOCIAZIONE R.E. MAYA: ALDILÀ DEI MEDIA "
http://www.dimarzio.it/srs/modules/mydownloads/cache/files/64622835854949361353531624866962-remaya.doc

Articolo di Raffaella Di Marzio
Roma, 16 Marzo 2010

Buona lettura a tutti.

Pietro Bono