Registrazione audio integrale della Relazione di Raffaella Di Marzio
"Organizzazioni settarie e antisettarie: strutture e dinamiche similari in contesti antagonisti"
12° Congresso Internazione promosso dalla Società Italiana di Psicologia della Religione (SIPR):
"L'IO, L'ALTRO, DIO: Religiosità e Narcisismo" Verona, 20 e 21 Novembre 2010.
http://raffaelladimarzio.blogspot.com/2010/11/narcisismo-settarismo-e-antisettarismo.html
http://pietrobono.blogspot.com/2010/12/organizzazioni-settarie-e-antisettarie.html

giovedì 29 ottobre 2009

Arkeon, padri e figli 29-10-2009

Sto riflettendo in questi giorni in particolare sulle relazioni tra padri e figli.
A questo proposito ho ritrovato uno dei primi post che scrissi sul forum Aduc nel Novembre 2007.
Lo riporto così com'era.

Pietro Bono


http://dilatua.aduc.it/forum/tentativo+censura+fallito_3560.php
Pietro B
28 novembre 2007 0:00:00
Cara Magi,

ti ringrazio per il tuo contributo, e ancor più per le tue parole appassionate.
Mi piacerebbe, se possibile, ragionare un po’ insieme.
Personalmente non trovo triste la storia di Fabia o altri che hai nominato. Anzi, la trovo meravigliosa.
In fondo racchiude forse il senso della vita: una sfida affascinante, antica come il mondo.
La sfida tra la paura e la speranza.

Gli ostacoli, le frustrazioni, le ferite ricevute, quelle che mi sono fatto, il senso di colpa per quelle che ho procurato, mi faranno desistere dal cercare la mia strada?
C’e un canto emblematico, che amo molto, e dice all’incirca: “…Abramo non partire, non lasciare la tua terra, cosa speri di trovar ?” e ancora “…la strada è sempre quella, ma la gente è differente, Abramo dove speri di arrivar?”

Ora, tra gli errori di percorso, esistono anche le illusioni. Ben ne sà appunto il “figliol prodigo”.
Forse però, è proprio grazie all’indugiare in quell’errore, che il figliol prodigo impara una fondamentale lezione: l’umiltà.

E così mi immagino questo figlio, sulla strada verso casa.
Immagino il suo stato d’animo. Il fallimento, la disillusione, la vergogna, il senso di colpa, le paure, le domande.
Poi, la sorpresa.
Suo padre è là, sulla strada di casa. Lo stà aspettando.
L’immagine di quest’uomo che, commosso, corre incontro al figlio, è struggente (Luca 15,20).

Ora vorrei fare qualche passo indietro, e guardare quel padre dopo la partenza del figlio.
L’affetto, la nostalgia, l’attesa, gli interrogativi, la trepidazione.
Cosa sarà di suo figlio? Sarà capace di orientarsi, di trovare la sua strada, o verrà travolto dalla vita?
Chissà.


Certo, quando il figlio pretende la sua parte del patrimonio, forse questo padre potrebbe trattenerlo.
Come forse potrebbe impedire al figlio di partire.
Ma non lo fa.
In fondo chi gli garantisce che sarà una storia a lieto fine?
Assolutamente niente. E lo lascia andare, accettando il rischio di perderlo per sempre.
Perché?
E’ forse un padre incosciente, irresponsabile?
Non credo.

Forse lo fa perché anche lui e stato figlio.
Forse lo fa perché lo ama e desidera per lui una vita autentica.
Forse lo fa perchè è in pace con la sua coscienza di padre.
Forse lo fa perché ha fede in suo figlio.
Ma tutto questo non basta a spiegare quel gesto.
In quel gesto si cela un mistero.
“Figlio mio, ora vai, prenditi tu la responsabilità per la tua vita, io ti benedico”.
Provare a trattenerlo, provare a salvarlo equivarrebbe a legarlo a sé ed insieme a generare, nel figlio, uno stato di diritto.
Ci penso da quando sono nati i miei figli. E sò che un giorno dovrò passare anch’io da quella porta.
Lo sò, è terribile. Ma è anche meraviglioso.

Ora, cara Magi, quello che mi piacerebbe davvero tanto, è che tu potessi incontrare di persona Fabia, Barbara, Alessandro, o chi vuoi tu e stare un po’ insieme. Incontrarsi, prendere un caffè e fare una camminata in questo splendido autunno. Soprattutto conoscersi. In pace.
E forse scoprire, che così come non esistono mamme perverse, anzi, così altrettanto non stai dialogando con dei mostri o delle larve.
Siamo solo persone come tuo figlio, che forse hanno bisogno di fare un lungo giro, prima di accettare l’evidenza: cioè che come figli, siamo stati amati. E soprattutto trovare l’umiltà di accettare quest’amore.

Personalmente non credo che questi argomenti siano monopolio né di psicologia, ne di religione, ne di titoli o albi professionali.
Credo invece che, in questo discorso, ci sia spazio per tutti coloro che con buon senso e buona volontà hanno gratitudine per la storia e rispetto e fiducia nel presente e insieme nel futuro.
Se tuo figlio è risentito con te, soprattutto se ti odia, allora cara Magi, abbi fiducia, è solo questione di tempo perché è già sulla strada di casa. Dietro quell’odio c’è solo una enorme, umana e comprensibile paura: quella di abbandonarsi all’amore. Parola di figlio.
Ti abbraccio.
P. S.
Se vuoi e se puoi, recapita queste povere righe a tuo figlio.
Perché a lui sono dedicate. Grazie di cuore.


Pietro B

1 commento:

pulvis ha detto...

Caro Pietro,
leggo con amore queste tue parole e leggo l’amore che c’è racchiuso. A maggior ragione desidero parlarne.

Credo che esistano genitori (e ne conosco in prima persona) che forniscono non solo tutto il loro amore e sostegno, ma soprattutto ciò che è realmente necessario ai figli perché questi possano realizzare a pieno la loro persona e la loro vita… non senza errori, ovviamente, ma è impossibile non farne! Ciò può avvenire perché sono persone con una certa saggezza, ben consce che è nella natura delle cose che ciascuno percorra il proprio cammino. Ben consce del fatto che non c’è figlio che nasca per i propri genitori. Al contrario vocazione di un genitore, nel momento in cui lo diventa, è quello di sostenere in ciò che può la propria discendenza senza pretendere nulla in cambio, nemmeno la gratitudine. Semplicemente come un dono che ha scelto di dare e che a sua volta ha ricevuto… e se non l’ha ricevuto, fa lo stesso, perché è un padre o una madre dal cuore grande e l’ha scelto lui/lei di mettere al mondo un figlio.
Sicuramente la signora cui tu ti rivolgi appartiene a questo genere di genitori.
Il Cielo la benedica, servono tanto genitori di questo tipo!

Ce ne sono altri (e ne conosco in prima persona) che forniscono indubbiamente tutto l’amore di cui sono capaci, ma – purtroppo – il loro è un amore “cieco”, quasi “egoista” perché quel genitore non si è mai staccato da sé, non è mai realmente maturato o non ha mai nemmeno pensato di far pace con alcune anse della sua storia personale, le rimuove proprio dal suo pensiero! Pertanto è come se non fosse in grado di vedere i suoi figli ma solo se stesso rispecchiato in loro senza nemmeno riconoscersi. Il risultato? Nutre se stesso, non loro. I figli soffocano, non vengono “visti” nei loro reali bisogni. Alla fine o rincitrulliscono definitivamente o, appena possono, sbattono la porta di casa e se ne vanno il più lontano possibile, cercando di rimettere in piedi i cocci lasciati da troppi anni… in famiglia.
Questi genitori non capiscono il perché dell’allontanamento né pensano di chiederlo ai diretti interessati. Se per errore lo fanno non sono assolutamente disposti a sentire le critiche: non può esserci altra ragione che le loro tanto amate creature siano ammattite o siano finite in balia di qualcuno che ha distorto il loro pensiero, che li ha “plagiati”… Se no come si spiega che hanno lasciato il loro amorevole abbraccio?
L’amore dei figli nei confronti di questi genitori, c’è ed è grande (se no non avrebbero resistito tanti anni) ma è soffocato dalla rabbia del non poter essere ascoltati né visti dai loro occhi per quegli individui pensanti dotati di una propria identità che essi sono.
Il figlio non chiede che il genitore sia della sua stessa idea, ma almeno che la rispetti nella stessa misura in cui il genitore chiede rispetto per la propria. E tra pari (perché questo genitori e figli adulti sono) è dovuto.